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Vinificazione – Dalla Vite al Vino


L’uva viene convertita in vino tramite la fermentazione alcolica. In realtà, i processi e i protagonisti di questo fenomeno sono molti più di quello che si possa pensare. Venite a scoprire le fasi di vinificazione!

Nell’ambito alimentare, il mese di settembre vuol dire solo una cosa: Vendemmia! Per spiegare tutto il processo produttivo del vino, siamo partiti dalla materia prima: l’Acino. Sicuramente, di notevole importanza, sono le varietà di uva. Le cultivar utilizzate per la produzione di vino, sono ben diverse da quelle delle uve da tavola! Nel precedente articolo, troviamo la storia del vino, talmente antica da affondare tra storia e leggenda, e la definizione legislativa del vino approfondendo la differenza tra DOP, DOC e IGP.

Processo produttivo

Il processo produttivo del vino cambia  a seconda se si tratta di una vinificazione in rosso o bianco ma possiamo riassumere, nel grafico sottostate (Fig.1), le tappe principali che vengono effettuate.

(Fig.1) Processo produttivo vino

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La raccolta dell’uva e la vendemmia

Per effettuare la vendemmia esistono fondamentalmente due approcci:

Raccolta manuale – Credits: Via Pantano News
  • Manuale è fatto dall’uomo, tagliando i grappoli dal peduncolo con le apposite forbici e adagiandoli in cassette contenenti al massimo 15-20 chili. Durante il raccolto viene fatta attenzione alla qualità dei grappoli, scartando quelli attaccati dalla muffa, o comunque con evidenti difetti, in modo da non contaminare il mosto e quindi il vino.
vinificazione
Vendemmiatrice – Credits: Primo bicchiere
  • Meccanizzato utilizzando macchine vendemmiatrici. Queste macchine sono dotate di una “testata di raccolta” che è libera di muoversi e si adatta in continuo alla mutevole disposizione dei ceppi evitando danneggiamenti della vegetazione. Gli “scuotitori” provvedono al distacco dell’uva, imprimendo uno “scuotimento” fino a provocare il distacco del peduncolo dei grappoli dalla pianta. I frutti cadono, poi, in dispositivi di ricezione. I dispositivi di ricezione provvedono al convogliamento delle uve fino ai nastri trasportatori laterali che portano il prodotto al serbatoio di stoccaggio.

La pulizia e cernita delle uve

Le uve devono arrivare in cantina integre e sane, senza schiacciamento degli acini. Altrimenti frutta danneggiata potrebbe causare fermentazioni spontanee indesiderate. Infatti, per le produzioni di qualità è necessario separare gli acini idonei da quelli alterati o da materiali estranei come foglie, tralci e residui della vendemmia. Questo perché, potrebbero causare l’apporto di sostanze non desiderabili nel mosto o nel vino. La selezione avviene o manualmente mediante l’ausilio di dispositivi. Un esempio sono i tavoli di cernita vibranti in acciaio inox, o automaticamente tramite dispositivi di cernita ad identificazione ottica, in grado di trattare grandi quantitativi di uve.

La pigiatura

La pigiatura è l’operazione mediante la quale si ottiene la rottura dell’acino e la conseguente fuori uscita di mosto, evitando però la lacerazione dei semi e raspi che potrebbero cedere sostanze indesiderabili. L’uva deve essere pigiata il prima possibile per evitare le perdite di succo e l’inizio di fermentazioni anormali e dannose. Con il mosto, si ottiene la vinaccia, ossia la parte solida costituita da raspi, bucce e vinaccioli.  

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Pigiatura piedi – Credits: Ebuenas noticias

Negli anni passati la pigiatura era eseguita con i piedi. L’uva si poneva in cassoni, il cui fondo era costituito da una grata che tratteneva la parte solida. Il mosto, che fuoriusciva dagli acini calpestati, cadeva in un recipiente sottostante. Questa tecnica è stata abbandonata perché, oltre alla scarsa igiene, presentava vari inconvenienti, trai quali la lentezza dell’operazione.

La pigiatura oggi si esegue normalmente a macchina. Esistono differenti tipi di macchinari:

  • solo per effettuare la pigiatura;
  • quelli che effettuano anche la separazione dei raspi (diraspatrici);
  • quelli che provvedono alla pigiatura e alla separazione completa del mosto dalla vinaccia, dopo averne estratto, per sgrondo e torchiatura, la parte liquida.

Lasciando macerare la vinaccia nel mosto che fermenta, si ottengono vini carichi di colore, grazie alle sostanze coloranti contenute nella buccia. In tal caso si parla di vinificazione con macerazione. Viceversa, separando completamente le parti solide e lasciando il mosto fermentare da solo, si ottengono vini bianchi o rosati: questa è la vinificazione in bianco.

Lieviti

I protagonisti del processo fermentativo sono i lieviti; nel caso di un processo fermentativo spontaneo ne troviamo due gruppi:

  • Lieviti apiculati: sono abbondanti sulla superficie delle uve, sono trattenuti dalla pruina e sono presenti ad elevate densità in prossimità delle aperture stomatiche e delle microlesioni sull’acino. Questi microrganismi permettono di iniziare la fermentazione, però, presentano una bassa alcol-resistenza, infatti sono inibiti dall’alcol che loro stessi producono. A concentrazioni del 4% di alcol la loro crescita e attività è inibita. Dal processo fermentativo di questi lieviti otteniamo: livelli bassi di etanolo, anidride carbonica e prodotti secondari non graditi, tra cui acido acetico.
Cellule di S.Cerevisiae al SEM- Credits: Microbiologia Italia
  • Lieviti ellittici: sono così definiti per la loro morfologia ellittica; si sviluppano in un secondo momento rispetto agli apiculati. Sono alcol-resistenti e questo permette di portare a termine la fermentazione. Questi microrganismi derivano da contaminazione di utensili, recipienti, presenti in cantina, si tratta di Saccharomyces tra i piu importanti ricordiamo S. cerevisiae.

La fermentazione spontanea è ormai stata sostituita con altri metodi come i lieviti selzionati. Il motivo principale, è la possibilità che non si verifichi l’alternanza dei lieviti apiculati/ellittici. Questo porta alla formazione di un “vino” che ha un alto tenore zuccherino e di conseguenza una concentrazione di etanolo bassa. Inoltre, un altro elemento da considerare, è la produzione di composti secondari che vanno ad abbassare la purezza fermentativa del prodotto

La fermentazione

La fermentazione alcolica del vino è un processo di trasformazione del mosto che produce alcool etilico ed anidride carbonica e definisce qualità e tipologia del vino prodotto in termini aromatici ed olfattivi.

Nel processo di vinificazione, essa si inserisce immediatamente dopo la pigiatura. Lo zucchero presente nel succo d’uva viene trasformato grazie all’azione degli enzimi presenti nei lieviti in: alcol etilico (50%), anidride carbonica (45%), glicerolo (3%) e altri prodotti (2%).

Nella fase iniziale del processo di fermentazione alcolica, i lieviti svolgono un’azione di trasformazione degli zuccheri in modo aerobico ossia utilizzando l’ossigeno presente nell’aria, da cui ottengono l’energia sufficiente per la crescita.

La fermentazione vera e propria però si compie in assenza di ossigeno, quando dalla respirazione aerobica si passa ad un metabolismo di tipo anaerobico (senza ossigeno), fase in cui gli zuccheri contenuti nel mosto vengono appunto convertiti in alcol etilico e anidride carbonica.

Fermentazione – Credits: Mauro Reivini

Il mosto a poche ore dalla pigiatura dell’uva inizia a fermentare spontaneamente, con la trasformazione degli zuccheri in etanolo e anidride carbonica. La temperatura ottimale di fermentazione per i vini bianchi è di 18-20 °C e per i vini rossi è di 25-28°C. La fermentazione alcolica dura mediamente 7-10 giorni e si può controllare la durata agendo sulla temperatura del mosto.

La fermentazione prevede:

  • una fase iniziale (24-36 ore),
  • una fase definita tumultuosa (7-10 giorni),
  • una fermentazione lenta che continua dopo la svinatura per alcune settimane.

Terminata la fermentazione tumultuosa, rimane ancora nel mosto-vino e qualche residuo di zuccheri (1-2%). Essi verranno trasformati in alcol e anidride carbonica durante la così detta fermentazione lenta, la quale inizia dopo la svinatura.  In pratica il mosto vien arieggiato un po’, per favorire e rilanciare lo sviluppo dei lieviti presenti. Viene, poi, travasato in nuovi recipienti dove si completerà la trasformazione degli zuccheri.

Nella fermentazione lenta bisogna fare attenzione alla temperatura che non deve scendere sotto i 15°C. Il recipiente di conservazione deve essere provvisto di un gorgogliatore, cioè di una valvola che permetta l’uscita dell’anidride carbonica impedendo l’entrata dell’aria. In effetti, in questa fase la presenza dell’aria è dannosa, perché può favorire l’insorgere di microrganismi alternati. Durante la fermentazione si ha una separazione delle parti solide sciolte nel mosto-vino, le quali depositano formando feccia.

Anidride solforosa

Anidride solforosa – Credits: Il dolomiti

L’anidride solforosa è utilizzata in enologia, per le sue contemporanee azioni antiossidanti e antisettiche. Gli effetti dell’anidride solforosa possono essere raggruppati in quattro categorie: antiossidante, stabilizzante, solvente e modificatore del gusto. Nonostante questi positivi effetti sul vino, è bene ricordare che il suo impiego deve essere comunque limitato, sia per gli effetti negativi sulla salute, sia per motivi organolettici. Questa sostanza viene aggiunta in diverse fasi della vinificazione. Per esempio, si versa nel mosto del vino bianco per bloccare la fermentazione alcolica, permettendo alle parti solide di decantare e di contribuire alla chiarificazione del vino. Può anche essere aggiunta all’inizio della fermentazione e ciò consente di selezionare una parte di lieviti e altre sostanze leggere per estrarle e migliorare l’aspetto del vino.

Le quantità massime consentite in enologia sono stabilite da apposite leggi in vigore in ogni paese. Per quanto concerne l’Unione Europea, i limiti massimi consentiti sono di 160mg/l per i vini rossi e di 210mg/l per i vini bianchi e rosati.

L’anidride solforosa può essere aggiunta sotto forma di metabisolfito di potassio o sodio. Solitamente la forma gassosa è la più utilizzata. Una parte di questo gas si combina con alcuni componenti del mosto o del vino, mentre la restante parte resta libera. Sarà proprio la parte libera a svolgere gli importanti effetti antiossidanti e antisettici: per questo motivo è indispensabile che l’anidride solforosa si combini il meno possibile.

Fermentazione malolattica

La fermentazione malolattica è detta anche conversione malolattica, in quanto per essere rigorosi, non è una vera e propria fermentazione. Dal punto di vista chimico, è una reazione di decarbossilazione, ossia di trasformazione di un gruppo acido (-COOH) proveniente dalla molecola di acido malico in acqua e anidride carbonica (H2O e CO2) ad opera dei batteri lattici. L’acido malico, invece, si trasforma in acido lattico. La formazione di CO2 può rendere il vino leggermente frizzante e si allontana spontaneamente con l’affinamento.

Reazione malolattica

La malolattica è un evento successivo alla fermentazione alcolica e avviene quindi nel contesto dell’affinamento/maturazione del vino, e può seguire sia la vinificazione in bianco che quella in rosso. Affinché questo tipo di fermentazione abbia inizio, sono necessarie le seguenti condizioni:

  • pH del vino non eccessivamente basso, quindi vini non eccessivamente acidi;
  • limitata concentrazione di anidride solforosa;
  • alcol etilico inferiore a 15%.
  • temperatura tra i 18° e i 20°.

Per svolgere la fermentazione malolattica ci si può affidare ai batteri lattici naturalmente presenti nel mosto e riattivati dalla variazione delle condizioni di conservazione, oppure si può ricorrere ad inoculi di ceppi batterici selezionati (appartenenti ai generi Oenococcus o Lactobacillus). La fermentazione malolattica dà al vino maggiore equilibrio, persistenza, corpo e profumi più fini. È maggiormente utilizzata nei vini rossi ma recentemente è stata introdotta anche nei vini bianchi più importanti, che ne risultano dotati di grande morbidezza. Non viene eseguita nei vini bianchi più giovani e freschi, che ci si aspetta caratterizzati da maggiore acidità.

Maturazione, affinamento e invecchiamento

Maturazione vino – Credits: green wine

La maturazione è la fase compresa fra la fermentazione alcolica e l’imbottigliamento. Al termine dei processi fermentativi abbiamo un vino immaturo, ricco di spigolosità e qualità giovani e acerbe. Se dal punto di vista tecnico il vino è a questo punto pronto, non lo è certamente dal punto di vista organolettico. Dopo la fermentazione il vino si presenta ancora torbido, con molte parti solide in sospensione con una spiccata acidità e nei rossi, i tannini, sono piuttosto aggressivi.

La maturazione può avvenire in diversi modi:

  • Riposo di qualche mese in botti di acciaio o vetroresina: è il metodo maggiormente utilizzato per i vini bianchi, rosati e rossi da bersi giovani. Il vino mantiene l’integrità dei caratteri originari del vitigno, la freschezza dei profumi e del gusto. In questo caso l’imbottigliamento avviene nella primavera successiva all’anno di vendemmia.
  • Riposo di qualche mese in botti di acciaio o vetroresina e successivo periodo di riposo in botti di legno di diversa dimensione: in questo caso siamo difronte a vini bianchi o rossi con una certa struttura e che quindi non temono periodi di maturazione più lunghi. In questo caso il vino mantiene le sue caratteristiche di fragranza e aromaticità ed acquista un bouquet grazie al riposo in legno.
  • Riposo direttamente in botti di legno di diverse dimensioni: anche in questo caso il vino acquista dei sentori rilasciati dal legno e mantiene tuttavia le sue caratteristiche organolettiche.

La maturazione è una fase di evoluzione continua, che prosegue anche in bottiglia, prima e dopo la messa in commercio, prendendo in questo caso il nome di affinamento. Una fase di affinamento e di stabilizzazione è comunque necessaria per poter mettere in commercio un vino equilibrato.

Imbottigliamento

Imbottigliamento – Credits: Wine news

L’imbottigliamento del vino può essere visto come la fase conclusiva dei processi di cantina. La criticità dell’imbottigliamento è dovuta all’impossibilità di controllare i fenomeni evolutivi all’interno della bottiglia ed eventualmente di intervenire con opportune correzioni. Pertanto, è fondamentale assicurare qualità e stabilità al vino prima dell’imbottigliamento e garantire pulizia delle bottiglie e qualità dei tappi.

I fattori importanti per la conservabilità e la stabilità biologica del vino sono: il contenuto alcolico, l’acidità totale e volatile, l’anidride solforosa libera e totale e la concentrazione di ferro, rame, proteine, batteri e lieviti. Tutti questi parametri sono controllati prima dell’imbottigliamento.

La scelta della bottiglia per il vino dipende soprattutto da considerazioni estetiche e di tradizione. Il colore è importante perché fornisce una protezione al vino dai raggi ultravioletti, soprattutto per i vini destinati a essere conservati più al lungo prima del consumo. La forma può essere importante in alcuni casi, come per i vini rossi di lungo affinamento che potrebbero presentare una quantità cospicua di sedimenti. In questo caso risulta utile una bottiglia con spalla pronunciata, come la bordolese, la cui spalla offre un’utile barriera che trattiene eventuali depositi durante la mescita.

Tappo

Il tappo rappresenta una componente fondamentale per la conservazione del vino. In base al materiale, i tappi per vino si distinguono in naturali e sintetici.

I tappi sintetici e i tappi a vite hanno criticità minori rispetto al sughero, come la presenza o lo sviluppo al suo interno di sostanze come il tricloroanisolo (TCA), responsabile del “sentore di tappo” e in teoria consentono al vino di raggiungere il cliente in perfette condizioni. Il sughero ha però dalla sua parte una tradizione secolare di utilizzo e di esperienza nell’invecchiamento di quei grandi vini che richiedono anni per essere degustati al meglio. Il contrario dell’ossidazione è la riduzione ed è stato ipotizzato che il tappo a vite porti ad un aumento delle note olfattive “di riduzione” se il vino sottostante è tendenzialmente ridotto. Le cosiddette “note di riduzione” includono un sentore di solfuri (uova marce) che in alcune circostanze può dare una piacevole pungenza al vino o nella maggior parte dei casi essere sgradevole.

Tappi ad espansione

A seconda del metodo di fabbricazione, i tappi in sughero naturale si dividono in:

tappo sughero monopezzo
Tappi in sughero monopezzo

sono prodotti a partire da sughero naturale proveniente da plance di sughero con spessore elevato perforate in un unico pezzo, che conserva inalterate le caratteristiche chimico-fisiche della materia prima. E’ indicato per la chiusura di vini fermi e per le sue caratteristiche di elasticità costituisce l’elemento fondamentale per l’affinamento dei vini in bottiglia. Una variante sono i tappi di sughero naturale colmatato.Il tappo di sughero naturale colmatato è un tappo i cui fori naturali vengono “chiusi” con la polvere di sughero. Questo particolare processo serve per rendere la chiusura perfetta, oltre che a produrre vantaggi di carattere estetico e meccanico.

tappo sughero agglomerato

 – tappo di sughero agglomerato 

è costruito del tutto industrialmente ed è formato dai sottoprodotti della produzione dei tappi naturali. Questo tappo è più economico di quello naturale e può esser utilizzato per chiudere vini da consumarsi entro 12 mesi.

tappi sintetici e coestrusi
tappo sintitico

– I tappi per vino sintetici

possono essere di materiale termoplastico  stampato (monoblocco) o coestruso, ossia  caratterizzati da un nucleo interno in schiuma e una guaina flessibile esterna.

Sistema di tappatura esterni
Tappo a corona

-tappo a corona (crown cork)

è costituito da una capsula metallica, che si aggrappa alla bocca (cercine) della bottiglia, dotato di una sottile guarnizione di plastic, situata sotto la parte metallica interna, che consente la tenuta stagna. Viene fissato tramite una macchina tappatrice manuale o pneumatica. Il tappo a corona fu brevettato da William Painter nel 1892 a Baltimora e venne utilizzato in esclusiva dalla Crown Cork and Seal Inc. fino al 1911.

Tappo a vite

tappo a vite 

è un tappo di metallo , normalmente in alluminio, che si avvita sulla apposita filettatura creata sul collo della bottiglia da vino. Il tappo è generalmente provvisto di una “gonna” di metallo lungo il collo per assomigliare alla capsula delle tenute tradizionali. Al suo interno vi è uno strato di materiale sintetico morbido che funge da guarnizione ermetica.

tappo per vino in vetro
tappo per vino in vetro

Tappi in vetro

Un tentativo di arrivare a una qualità di chiusura paragonabile al sughero, mantenendo per certi aspetti intatto il rituale dell’apertura della bottiglia, è stato fatto da un’azienda nella Repubblica Ceca che ha brevettato un tappo in vetro con guarnizione in silicone.

Spero che questo approfondimento sul processo produttivo di vinificazione sia stato interessante! Ci vediamo alla prossima e ultimo articolo sul vino!

Fonti:

-Dougherty P.H., Introduction to the Geographical Study of Viticulture and Wine Production, Dougherty P.H., The geography of wine. Dordrecht: Springer; 2012, 3-36.

-Elbatawi I.E., Ebaid M.T., (2006), A new technique for grape inspection and sorting classification, “Journal of Agricultural Sciences”, 14(2), 555-573.

-Farris G.A., Gobbetti M., Neviani E., Vincenzini M., Microbiologia dei prodotti alimentari, Milano: Casa Editrice Ambrosiana; 2012.

-Jackson R., Wine Science, Academic Press (Elsevier), 2020, V.

Quattro calici

-Ribéreau-Gayon P., Dubourdieu D., Donèche B., Lonvaud A., Trattato di enologia I. Microbiologia del vino e vinificazioni, Edagricole-New Business Media; 2017, IV.